Perché si deve fare ciò che si deve fare - Incontro con l'avv. Filippo Biolè, presidente dell'ANED
"Perché si deve fare ciò che si deve fare"
Così FIlippo Biolé, avvocato, 50 anni, presidente dell’Associazione Nazionale Ex-Deportati (ANED), fondatore del comitato per le pietre d’inciampo nella circoscrizione territoriale di Genova, conclude il suo magnifico intervento il 12 febbraio nella classe 5° A LES dell’istituto Firpo Buonarroti di Genova. Incontro che ha significato un viaggio di 25 studenti, all’interno degli anni del fascismo e delle violenze disposte dai regimi europei del primo novecento. Biolé non inizia parlando dell’importanza del 27 Gennaio (Giorno della Memoria), ricordando genericamente tutte le vittime dell’olocausto, oppure dettando regole morali e saldi principi a cui noi “giovani” dobbiamo aspirare. “Il giorno della memoria, è il giorno in cui ogni anno tutto comincia, ogni anno ripercorriamo la shoah, le deportazioni…”- sottolineando come - “Io sono contrario al dedicare un singolo giorno per ricordare (...) abbiamo il calendario pieno di date: giorno contro la violenza di genere, festa dei nonni… poi, il giorno dopo, ci puliamo la coscienza”.
Sì, ma pulirsi la coscienza… da cosa? Dal fatto, lui spiega, che molte di quelle milioni di “vicende” avvenute durante il periodo nazi-fascista e la seconda guerra mondiale, sono storie “chiuse dentro le mura domestiche” di persone che hanno avuto la forza di tornare vivi, ed il coraggio di raccontare quelle oscenità. Storie di ebrei, di omosessuali, di soldati e diplomatici, Carabinieri, disertori del regime, funzionari, bambini, tutti coloro che hanno subito le atrocità più spietate, ricevute da un regime altrettanto spietato.
Ci racconta la sua esperienza familiare con la shoah. Tutto inizia dalla sua prozia, Franca de Benedetti, che, un anno prima della sua morte, si lascia convincere dall’avvocato stesso, a raccontare tutto ciò che si ricordava di quel periodo. Biolé, descrive una scena quasi poetica, in cui, sulla terrazza dell’anziana signora, non fa nient’altro che ascoltare. Cinque ore di memoria, di ricordi dal 1938 al 1945. Gli racconta del giorno in cui, promulgate quelle porcate di leggi razziali, si ritrovò nei negozi di Genova, con affissi alle vetrate: “Vietato l’ingresso agli ebrei e ai cani”. Oppure di quando, finito il Liceo Classico al Colombo, volle provare ad entrare all’università di chimica, senza riuscirci.
Fu costretta a scappare, scappare oltre la terra e i monti, nelle verdi alpi svizzere, corrompendo una guardia che sorvegliava la frontiera, con 5000 bigliettoni. Non tutta la sua famiglia passò, qualcuno, da quel 30 novembre 1943, non ritornò più a casa.
Quel giorno fu solo la fine di un percorso. Un percorso durato mesi, in cui tutta la famiglia dell’anziana signora (lei compresa) fuggiva dall’incombenza delle camicie nere e dei militari tedeschi.
Lo zio dell’avvocato, Bruno de Benedetti, fu uno di quelli che non ce la fece. Fu catturato, portato prima in carcere e poi nel campo di concentramento e smistamento di Fossoli di Carpi. Da quel campo, Biolé riuscì a rinvenire tanti documenti, quali 147 lettere scritte da lui, da dentro il campo, nella disperata ricerca di qualcuno con cui mettersi in contatto. Bruno era uno dei tanti che, caricati a bastonate su camion affittati dal regime per portarli alla prima stazione disponibile, attraverso strade degradate e condizioni di trasporto disumane, era stato deportato ai campi di concentramento nel nord Europa.
Suo zio, in quanto ebreo misto, sposato con una “ragazza ariana”, rimase nel campo di Fossoli fino al 31 Luglio del 1944, mentre i suoi fratelli, furono subito deportati assieme, tra tanti, a un tale, un chimico di nome Primo Levi, verso Auschwitz.
Zio Bruno, arrivò al famoso campo polacco nel 1945, per poi spostarsi in altri campi limitrofi, per morire a Dachau, nello stesso anno.
In queste cinque ore di intervista a sua zia, nel racconto di dolore, Filippo vede uno spettacolo magnifico. Mentre il sole riflette i sentimenti della donna, l’avvocato guarda il mare. Il sole che cala sulle coste liguri, pensando ai mesi - ai "secoli" - in cui la sua famiglia non poté più ammirarlo. Nessuno di loro poteva immaginare la violenza inaudita che li avrebbe aspettati, oltre alla progressiva esclusione sociale. Nessuno poteva prevedere che da un giorno all’altro, il fascismo avrebbe tradito la sua stessa natura.
Bruno, per quanto ebreo, era stato infatti, come molti, profondamente fascista e convinto di quell'ideale che all’epoca attraversava l'Italia. Aveva amici, frequentava circoli e bar, era un cittadino di un paese che fino ad allora era in uno stato di quiete, o meglio, credeva di esserlo.
Dopo il 1938, dopo la scellerata alleanza con la Germania, da cui aveva ripreso le leggi razziali, Bruno iniziò a capire il meccanismo dell’autocrazia ma, purtroppo, nonostante la percentuale di italiani deportati rapportata al numero totale di ebrei nel mondo fosse minima, non ebbe il tempo di fuggire.
In Italia, ed in generale nel mondo, pochissimi deportati ebbero un risarcimento danni o un fondo pensione. Né dallo Stato Italiano, né dalla Germania stessa. A malapena, la prozia stava per farsi risarcire 5.000 euro (costo per corrompere la guardia svizzera), che non arrivarono mai, perché si spense prima.
Dopo questa storia personale, il nostro intervistato ha sottolineato la fragilità del potere. Attraverso una storia così umana e concreta, ci ha raccontato quanto siano importanti parole come “democrazia” e “Costituzione della Repubblica Italiana”, parole che finalmente poterono risuonare in Italia e che furono consegnate agli italiani tutti il 1 gennaio 1948.
Alla domanda: “Secondo lei, dove, nella costituzione, è espressa una chiara volontà antifascista?” Biolé ha risposto, semplicemente, tutta.
La nostra costituzione esprime un programma chiaramente antifascista che fu di ispirazione per tantissime altre carte costituzionali e regolamenti internazionali. Un baluardo del diritto mondiale ed un incastro perfetto tra diritti e doveri di ogni cittadino.
Articoli fondamentali come il 2, che riconosce i diritti inviolabili dell’uomo. Non servono grandi studi storici per capire che, ai tempi del fascismo, i diritti umani erano totalmente calpestati. Prima nei confronti di un gruppo etnico circoscritto, una “razza”, poi sempre più esteso a chi non rientrava nei canoni della "normalità", a chi esprimeva il proprio dissenso, fino a fare milioni di morti.
Il vero asso della manica della Costituzione per l’avvocato, resta comunque l’Art. 21, dove si parla della libertà di pensiero. E' uno degli articoli più lunghi e più completi presenti nella nostra carta costituzionale, che tutela molte sfumature del diritto di opinione. Prima tra tutte, quella sulla stampa e sull’editoria. In particolare, l'avvocato Biolè ha citato un esempio calzante di come la stampa e la libertà di informazione fossero completamente ignorate durante il ventennio, ossia l’assassinio di Giacomo Matteotti.
Matteotti era un socialista, uno che non si fece mai mettere i piedi in testa dalle manie totalitarie di Mussolini. Insieme al suo partito protestò fino a che gli fu possibile farlo. Cercò in tutti i modi di rovesciarlo. E, nonostante le sedi socialiste bruciate e le intimidazioni subite dalle camicie nere, era riuscito a trovare traccia di qualcosa che Mussolini aveva lasciato: una tangente milionaria che gli italiani avevano preso per lo sfruttamento di giacimenti di petrolio nel nostro territorio. Matteotti era solito a conservare tutto, come i grandi magistrati dei grandi scandali (Paolo Borsellino, Giovanni Falcone, Antonio di Pietro, il carabiniere Basile) in una cartella che si portava sempre dietro. Peccato che Giacomo Matteotti scomparve dai radar, rapito dalle milizie fasciste, per poi essere ucciso e aver fatto sparire tutto ciò che aveva trovato.
Senza l’articolo 21, noi cittadini saremo nudi dei nostri diritti opinione, di libertà di stampa, attoniti e increduli dietro alle malvagità che l’essere umano può fare.
Nel corso di tutta la durata della sua intervista, l'avvocato Biolé, ha fatto ricorso spesso a paragoni con situazioni odierne, che, ora come ora, non sono così tanto diverse da quelle di più di 80 anni fa.
Ha ricordato più volte, a questo proposito, la guerra russo-ucraina e il massacro israelo-palestinese. Non solo, si è soffermato molto su scenari tutti italiani, come i centri hot spot in Albania, per il trattenimento dei migranti in cerca di asilo politico, in modo tale da non concedergli il permesso di soggiorno. Ha sottolineato, in particolare, come la storia e le opinioni ritornino sempre e come siano sempre meno oggettive. Per questo lui parla anche di istruzione, del concetto di “scuola” e di come questa andrebbe tutelata: “In realtà, il vero male del nostro paese è la scuola. Non si investe nell’istruzione, non si fa selezione e non si pagano bene gli insegnanti. (...) Manca la volontà da parte delle istituzioni di investire veramente nei giovani. Partendo dai luoghi che i giovani li contengono, voi non potete frequentare delle scuole che sono uno scempio. (...) Noi stiamo educando i ragazzi all’incuria e al degrado. Ragazzi che vedono negli adulti un egoismo tale da non usare il denaro disponibile per le generazioni”
Questo incontro, durato quasi due ore, è stato, per tutti i ragazzi della 5 A LES e per me medesimo, una grande opportunità di crescita. Sentire le parole, a volte complicate - perché ricche di dettagli e di riferimenti - di un uomo che ha passato la sua vita alla ricerca di verità e giustizia per i suoi familiari, oltre a farlo di lavoro, è stato incredibile.
Non è il solo pensiero che cambia veramente le cose, ma è la volontà. Volontà di uomini e donne che incessantemente combattono per ciò che libera e non per ciò che opprime. Prima, durante e dopo le leggi razziali e la shoah. Educare le persone ad essere libere è, forse, il più grande insegnamento che può essere tramandato.
“La libertà, non è uno spazio libero… libertà è partecipazione” Giorgio Gaber.
Pietro Gemme, V A LES
Di seguito il video completo dell'incontro.
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