MIGRAZIONI ITALIANE 7) Migrazione interna

La migrazione è il movimento di una persona che comporta il trasferimento del suo domicilio principale da un luogo d’origine a un luogo di destinazione. Nell’ambito della migrazione interna sono presi in considerazione solo i cambiamenti di domicilio all’interno del Paese.

L’origine

In particolar modo fra gli anni ’55-’63 dell’800, un flusso notevole di persone scorre verso le città del centro-nord Italia, nello specifico verso le metropoli di Milano, Torino e Genova, ai vertici del cosiddetto “triangolo industriale” area in cui  prese piede l'industrializzazione su larga scala dell'economia italiana.
Gravi condizioni di vita e di lavoro al sud spinsero gli uomini ad andare via da una terra che sembrava arretrata. Il fenomeno non si limitò al sud, ma coinvolse anche alcune  zone del nord, impoverito per  le stesse ragioni, da cui emigrarono all’interno del territorio nazionale e all’esterno.  
Ci fu anche un'emigrazione storica di italofoni  dalla Francia all'Italia: la Corsica passò dalla Repubblica di Genova alla Francia nel 1770, mentre la Savoia e l'area intorno a Nizza passarono dal Regno di Sardegna alla Francia nel 1860, in entrambi i casi si ebbe un fenomeno di francesizzazione, con conseguente emigrazione di italofoni  verso l'Italia e la quasi  totale scomparsa  della lingua italiana da queste zone.

Gli anni ’20 e ’40 del 900

Il regime guidato da Benito Mussolini era però contrario a questi movimenti migratori, tant'è che mise in atto dei provvedimenti legislativi che ostacolarono, ma non fermarono, questi spostamenti. Un esempio fu una legge del 1939 che consentiva il trasferimento in un altro comune italiano solo nel caso in cui il migrante fosse stato in possesso di un contratto di lavoro di un'azienda che aveva sede nel luogo di destinazione, all'epoca i flussi migratori interni interessavano anche i trasferimenti dalle campagne alle città, movimenti che sono definiti, più propriamente, "mobilità" interna: per "emigrazione" si intendono infatti gli spostamenti da una regione italiana all'altra. Con la caduta del fascismo (1943) e la fine della seconda guerra mondiale (1945) iniziò un imponente flusso migratorio interno che interessò il trasferimento di emigranti da una regione italiana all'altra. Questa emigrazione interna venne sostenuta e fatta costantemente aumentare dalla crescita economica che l'Italia conobbe tra gli anni cinquanta e gli anni sessanta del XX secolo (il cosiddetto "boom economico"). Dato che questa crescita dell'economia riguardava principalmente l'Italia nord-occidentale, che fu coinvolta dalla nascita di molte attività industriali, i fenomeni migratori interessarono i contadini del Triveneto e dell'Italia meridionale, che iniziarono a trasferirsi in grandi numeri nelle zone più industrializzate del Paese.

Anni ’50 e ’70 del ‘900

Negli anni dal 1958 al 1963 si muovono dalle regioni del Mezzogiorno oltre un milione e trecentomila persone. Nei comuni del triangolo industriale quasi si triplicano le iscrizioni anagrafiche: a Milano i flussi migratori provenienti dall’area lombarda e veneto-emiliana negli anni ’50 diminuiscono sensibilmente grazie a un relativo benessere economico di queste aree, a cui fa riscontro la crescita progressiva dell’immigrazione meridionale e insulare; questa passa dal 17% del totale nel periodo 1952-57, al 30% nel periodo 1958-63. A Torino l’ondata migratoria più intensa investe la città negli anni tra il 1959 e il 1962. Questa manodopera disperata e a buon mercato giunge sui treni della speranza soprattutto dalla Puglia e dalla Sicilia, ma anche le altre regioni meridionali partecipano notevolmente: la Calabria, la Campania e la Sardegna. 

Gli anni che vanno dal 1968 al 1970 sono caratterizzati da una “seconda ondata” migratoria di rilevanti proporzioni dal sud al nord: nel 1969 risultano immigrati a Torino circa 60.000 lavoratori, di cui oltre la metà dalle regioni meridionali, mentre in Lombardia giungono 70.000 nuovi immigrati. A Torino e provincia l’elemento scatenante sono le assunzioni alla FIAT: si trattò di un afflusso improvviso di 15.000 operai giovani, meridionali, nella loro stragrande maggioranza  di origine non contadina, scolarizzati ma senza prospettive di lavoro nelle loro regioni d’origine. Una massa enorme che si trova a fare i conti con il problema dell’abitazione, si cercano le più disparate soluzioni, quelle che offre una società stravolta e impreparata a questi arrivi e quelle che suggerisce l’arte di arrangiarsi: nascono case “fai da te” e piccoli, disordinati nuclei urbani
lontani dal centro, queste costruzioni improvvisate e frutto di una architettura popolare sopravvivono ancora in alcune zone del Lorenteggio a Milano, altrove, come a Torino e a Genova, si verifica  l’abbandono  del centro degradato da parte dei proprietari  che cercano altrove abitazioni più confortevoli e più moderne.  

Gli emigranti occupano tutti gli spazi disponibili: soffitte, cantine, sottoscale, vecchie cascine e  persino case destinate alla demolizione, e quando non ci riescono vivono in alloggi sovraffollati. Il flusso migratorio fu così intenso che le Ferrovie dello Stato istituirono dei treni appositi come il Treno del Sole, la Freccia del sud e la Freccia della laguna che partiva da Palermo e arrivava a Torino dopo aver attraversato tutta la penisola italiana. Dopo il 1970 ci fu una forte contrazione degli arrivi, da cui conseguì l'arresto quasi totale dell'emigrazione interna, che avvenne durante la crisi energetica del 1973, questo azzeramento dei trasferimenti fu accompagnato dal flusso migratorio inverso: molti dei migranti tornarono nei loro luoghi di origine. 

Dagli anni ’90 all’attualità

A partire dal 1995 si inizia ad osservare una certa ripresa dell’emigrazione interna: l’origine dei flussi continua ad essere dalle regioni del Mezzogiorno, ma la destinazione prevalente è diretta, adesso, verso il Nord-Est e parte del Centro. La figura dell’emigrante contemporaneo è in generale molto diversa da quello della generazione precedente. Infatti prima c’era un’emigrazione familiare, la donna seguiva l’uomo che trovava lavoro altrove, mentre ora solo alcuni emigrano insieme alla famiglia, la maggior parte lo fa individualmente, si sottopone a lunghi spostamenti pendolari e condivide con altri, un alloggio, spesso sovraffollato. Gli emigrati dal Sud tra il 2002 e il 2017 sono stati oltre 2 milioni, di cui 132.187 nel solo 2017, di questi ultimi 66.557 sono giovani (50,4%, di cui il 33% laureati). L’emergenza emigrazione del Sud determina una perdita di popolazione, soprattutto giovanile, e qualificata, solo parzialmente compensata da flussi di immigrati, modesti nel numero e caratterizzati da basse competenze. Questa dinamica determina soprattutto per il Mezzogiorno una prospettiva demografica assai preoccupante di spopolamento, che riguarda in particolare i piccoli centri sotto i 5mila abitanti. L’indebolimento delle politiche pubbliche nel Sud, poi, incide significativamente sulla qualità dei servizi erogati ai cittadini. Il divario nei servizi è dovuto soprattutto ad una minore quantità e qualità delle infrastrutture sociali e riguarda diritti fondamentali di cittadinanza: in termini di sicurezza, di adeguati standard di istruzione, di idoneità di servizi sanitari e di cura. Ancor più drammatici sono i dati che riguardano l’edilizia scolastica; a fronte di una media oscillante attorno al 50% dei plessi scolastici al Nord che hanno il certificato di agibilità o di abitabilità, al Sud sono appena il 28,4%. Inoltre, mentre nelle scuole primarie del Centro-Nord il tempo pieno per gli alunni è una costante nel 48,1% dei casi, al Sud si precipita al 15,9%.

Simone Banella, Gabriele Sandolo, Ilaria Zanardi, V A LES





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