MIGRAZIONI ITALIANE 6) Raggiungere il “Nuovo Mondo”: ciò che è stato e ciò che è oggi l’emigrazione italiana

È col titolo di “Nuovomondo” che Emanuele Crialese, regista romano classe 1965, 17 anni fa narra al grande pubblico l’emigrazione italiana attraverso le vicende della famiglia Mancuso, che, delusa dall’ambiente ostico e poco generoso che offriva il meridione del XX Secolo, abbandona la Sicilia per cominciare una nuova vita in America.

Gli Stati Uniti infatti, dal 1880, decidono di aprire le porte all’immigrazione in pieno sviluppo capitalistico, fornendo alla popolazione italiana la visione di quell’ ultima spiaggia su cui ci si sarebbe potuti aggrappare per rilanciare la propria vita.

Quella che viene raccontata da Crialese però, è solo una delle innumerevoli storie italiane di rivincita e di riscatto di cui si potrebbe parlare; si pensi soltanto che nel 2000 ben 16 milioni di cittadini americani affermarono di avere origini italiane!

Questo dato è diretta conseguenza di quello che fu il più grande esodo della storia, del quale sono state registrate 26 milioni di partenze tra il 1876 e il 1976.

Per rendere l’idea, si tratta di circa lo stesso ammontare di persone che contava la popolazione italiana al momento dell’Unità.

L’esodo coinvolse tutte le regioni: prima quelle settentrionali tra il 1876 e il 1900, le quali videro i propri cittadini migrare principalmente in Sudamerica (Brasile e Argentina) per poi scendere verso quelle meridionali nei due decenni successivi, che rispetto alle precedenti decisero di spostarsi verso gli USA.

Il legame con la madrepatria soprattutto per le prime generazioni di emigrati era indissolubile; in questi piccoli quartieri (le cosiddette “Little Italies”) i cittadini parlavano, mangiavano e acquistavano italiano, mentre dentro alle loro case si potevano trovare numerose foto di famiglia che venivano mandate per lettera (allora mezzo principale di comunicazione, anche dopo l’arrivo del telefono).

Sebbene per molti l’emigrazione venisse considerata come il raggiungimento della terra promessa, non era tutto oro ciò che luccicava; difatti, soprattutto all’inizio del grande esodo, gli Italiani furono soggetti a sfruttamento (una differenza notevole di salario fra braccianti italiani e locali) e a numerosi episodi di xenofobia.

Uno dei casi sicuramente più eclatanti risale all’1 gennaio 1894, dove sul New York Times, si definiva il brigantaggio dei napoletani “industria nazionale” e che “non è strano che questi briganti portino con sé un attaccamento per le loro attività originarie”.


Soprattutto nei confronti degli italiani del Meridione in America avvennero la maggior parte delle discriminazioni; gli emigrati Siciliani, ad esempio, nel 1911 vennero inseriti nel censimento come “non white” e definiti come “di una razza diversa” rispetto ai provenienti dal nord Italia.

In Brasile invece, era solito attribuire agli italiani l’aggettivo “carcamano”, termine che deriva dal gesto di calcare la mano alterando i pesi della bilancia, per indicare la loro disonestà.

Questo fenomeno migratorio fu così rilevante da suscitare attenzione persino in ambito letterario: celebre ad esempio è il poemetto “Italy” di Giovanni Pascoli del 1904, che vede come tematica principale per l’appunto il fenomeno migratorio degli italiani in America, oppure la commedia “L’altro figlio” di Luigi Pirandello, novella scritta nel 1905 e rappresentata successivamente al Teatro Nazionale di Roma nel 1923, che vede la protagonista Mariagrazia, donna umile di un paesino siciliano, affranta e non considerata dai suoi due figli emigrati in America.

Finito il periodo della “Grande Emigrazione”, la diaspora italiana successiva alla ripresa postbellica della Seconda Guerra Mondiale procedette con ritmo piuttosto sostenuto per altri trent’anni, fino ad un progressivo declino.

Ultimamente però si sta assistendo ad un nuovo e preoccupante fenomeno, quello che alcuni chiamano “la quarta emigrazione italiana”.

Infatti è da più di 15 anni che non solo il numero di emigrati è in aumento, ma la maggior parte di loro sono giovani che lasciano l’Italia per andare a cercare opportunità all’estero; l’età media degli italiani espatriati infatti si aggira fra 30/32 anni, e un quarto di essi è laureato.

Questo comporta un effetto che non si è mai visto in nessun altra emigrazione, infatti questa “fuga di cervelli” risulta inevitabilmente in un ulteriore costo per le famiglie, causando così un impoverimento economico e demografico che va ad impattare soprattutto al Meridione.

Secondo un report dell’Istat del 1 febbraio 2022, nemmeno la pandemia riuscì a rallentare significativamente l’emigrazione, risultando solo in una mera decrescita rispetto all’anno precedente.

Una differenza rispetto al passato però è la provenienza degli emigrati italiani: difatti i flussi migratori dal Mezzogiorno sono notevolmente inferiori rispetto a quelli della zona Settentrionale della Penisola, con il tasso più elevato in Valle d’Aosta e Trentino Alto-Adige.

Non solo, al momento le mete predilette dagli emigrati italiani si rivelano essere per la maggior parte distribuite sul territorio europeo, non più nelle Americhe; in particolare Regno Unito, Germania e Francia.

Ciò che non cambia però, è la motivazione.

Il “Nuovo Mondo” oggi non è più una meta offuscata, ma un sogno ad occhi aperti per chi vuole ricominciare.

Ilaria Fameli, V A LES

Commenti

Potrebbero interessarti...