25 Novembre: diciamo no alla violenza sulle donne!

 

Il 25 novembre è la Giornata contro la violenza alle donne. Non è una data scelta a caso: è l’anniversario di un orribile femminicidio, commesso nella Repubblica Dominicana nel 1960, a danno di tre sorelle che furono torturate perché considerate rivoluzionarie e, come spesso accade, fu simulato un incidente. 1960... beh, nel 2020 non è che le cose siano molto migliorate, basti pensare che in quest'ultimo anno il numero dei femminicidi è triplicato rispetto al 2019!
Un piccolo excursus lessicale. La parola femminicidio esiste nella lingua italiana dal 2001. Fino a quell'anno, l'unica parola esistente col significato di uccisione di una donna era uxoricidio. Uxor in latino significa moglie, dunque si riferiva solo all'uccisione di una donna sposata, e veniva estesa anche agli uomini, quindi al coniuge in generale. Non avevamo una parola che indicasse l’uccisione di una donna in quanto donna. Nella lingua inglese, invece, dal 1801 esisteva la parola femicide per poi evolversi in feminicide nel 1992, termine coniato dalla criminologa Diana Russell in un suo saggio. Successivamente, nel 1993, l'antropologa messicana Marcela Lagarde usò la parola femminicidio, per l'appunto, e la parola cominciò a diffondersi. L'antropologa aveva usato questa parola per studiare, per ricordare i numerosissimi omicidi di donne che erano stati compiuti ai confini tra il Messico e gli Stati Uniti. E appunto, la parola femminicidio serviva proprio ad indicare questo tipo particolare di uccisione. 
Ma torniamo ai nostri giorni. Alcune cifre indicative: nei mesi del lockdown, dal 9 marzo al 3 giugno, 44 donne sono morte per mano di un familiare, un compagno o un ex marito. Una ogni due giorni. In un primo momento i centri antiviolenza avevano denunciato un drastico calo delle chiamate ai numeri d’emergenza, probabilmente a causa del fatto che le donne maltrattate, vivendo 24 ore su 24 accanto al loro torturatore, non potevano chiedere aiuto. Nelle settimane successive, invece, le richieste sono aumentate in maniera esponenziale, perché la convivenza forzata, la precarietà lavorativa, le difficoltà economiche hanno esasperato le situazioni di violenza. Tuttavia ben poco è stato fatto. Le case di accoglienza per donne maltrattate e vittime di violenza lamentano di non ricevere sufficienti finanziamenti dallo Stato. Completamente inadeguato è il linguaggio con cui i mezzi d’informazione riportano le notizie: dai titoli ai contenuti, appare chiara la tendenza a giustificare gli autori delle violenze, lasciando spazio a pregiudizi e preconcetti che colpevolizzano la donna, invece di sostenerla.
La violenza di genere, però, non è solo quella fisica, c'è pure quella psicologica e sociale. E’ violenza fare sentire sempre e comunque inadeguata una donna; è violenza il criticare sempre e comunque il suo aspetto o la sua intelligenza; è violenza il non considerarla mai "abbastanza" per raggiungere posti lavorativi di rilievo o, se li raggiunge, insinuare che ci sia arrivata concedendosi a uomini importanti; è violenza il considerare "normale" il demandare completamente il lavoro domestico e di cura (dei figli, dei vecchi di casa) alle donne, che magari già svolgono un lavoro fondamentale per la gestione economica familiare. 
La stessa Dichiarazione adottata dall’Assemblea Generale Onu parla di violenza contro le donne come di “uno dei meccanismi sociali cruciali per mezzo dei quali le donne sono costrette in una posizione subordinata rispetto agli uomini”. Le donne rappresentano, la parte più fragile del mercato del lavoro (contratti part time, a tempo determinato, lavoro nero, contratti con clausole vessatorie, come quelle che impongono le loro dimissioni nel caso rimanessero incinte), e ciò è ancora più vero oggi, al tempo della pandemia: dopo essere state esposte al contagio in maniera maggiore, data la prevalenza femminile nel settore sanitario e socio sanitario, stanno subendo in maniera più pesante la crisi economica determinata dall’emergenza sanitaria. Il 55% dei posti di lavoro che andranno persi sono femminili.
Come si vede, la strada per contrastare la violenza è ancora molto lunga e difficile, ma se ci lasciassimo sconfortare dalle difficoltà avremmo già perso la nostra battaglia.

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