2073: Cari nipoti, vi racconto il Coronavirus...


Mi chiamo Matteo Saba, ho settantacinque anni e ho vissuto direttamente la pandemia da Covid-19, che ha colpito tutto il mondo nei primi anni venti del duemila. 

Quell’anno, non passò molto tempo dall’inizio della scuola, prima di venire a conoscenza del virus, poiché a Gennaio, i telegiornali, i social media ed i giornali parlavano solo di questo. I sintomi del Coronavirus inizialmente non furono molto chiari, ma dopo i primi mesi a contatto con la malattia, si seppe che i principali sintomi erano la febbre alta, la tosse, la perdita del gusto e dell’olfatto ed un forte raffreddore; in casi estremi una persona affetta da Covid poteva anche andare incontro ad una forte polmonite che avrebbe potuto rivelarsi letale. 

Il ventiquattro Febbraio 2020, tutte le scuole italiane chiusero, a causa dell’inarrestabile aumento dei contagi e del numero di pazienti ricoverati in terapia intensiva. Nessuno immaginò che da quel momento non saremmo più ritornati a scuola fino all’anno scolastico successivo; le lezioni continuarono da casa, ma non fu la stessa cosa, mancava il contatto umano. I giorni che trascorsero tra fine Febbraio e Marzo, misero davvero l’Italia in ginocchio: i contagi salirono alle stelle sfiorando i diecimila positivi ed i seicento morti giornalieri. Insomma, il virus era arrivato, ci aveva colpito in modo irruento, cambiando da quel giorno la nostra vita. 

Non smetterò mai di ricordare come gli eroi, (medici, infermieri e operatori socio-sanitari), abbiano combattuto con tutte le loro forze per fronteggiare quel periodo doloroso ed esasperante, facendo dei turni incredibili, rischiando di prendere il virus e di contagiare, di conseguenza, la propria famiglia. La nostra concezione di normalità cambiò completamente in poco tempo, ma non ci abbattemmo: avevamo bisogno di sentirci vicini, seppur lontani, così iniziammo a trasmettere musica dal balcone, a cantare l’inno d’Italia fuori dalle finestre e ad accendere le torce del telefono per illuminare il cielo, ricordando le vittime ed omaggiando gli eroi di questa battaglia, tutti insieme, tutti uniti in un profondo amore e rispetto. Non mi ero mai sentito così fiero di essere italiano, perché mi sentivo davvero parte di una nazione unita, che, pur se ferita e incredula, non si arrendeva. 

Continuai a studiare, seppure online, le materie del mio liceo, quello delle scienze umane con indirizzo indirizzo economico sociale, pur se inizialmente con qualche difficoltà. La mia vita, all’epoca, non cambiò poi così tanto, se non per le norme anti-contagio, poiché io non uscivo molto di casa, non avevo molti amici e quindi sentii meno le conseguenze psicologiche del lockdown, che sconvolse molte persone. Quello che mi fece stare male quell’anno, fu vedere la cruda realtà che si creò intorno a me: le persone morivano senza avere il conforto di un amico o di un parente, coloro che lavoravano nelle onoranze funebri, da quante bare dovevano trasportare, erano costrette a metterle una sopra all’altra per poi caricarle sui camion dell’esercito... insomma, un vero e proprio disastro. 

Durante quell’estate, il virus si placò, pur se non del tutto, concedendoci di riprendere una vita strana ma quasi normale. Pensavamo di esserci lasciati la paura alle spalle. La scuola riprese il 14 Settembre 2020 e noi ragazzi, per la prima volta dopo sei mesi, ritornammo tra i banchi, ma fu un disastro. Il governo di quell’anno forse aveva abbassato troppo la guardia, anche per dare una mano all'economia tanto provata nei mesi precedenti, per non parlare del comportamento sconsiderato di troppe persone durante l'estate e anche dopo, così i contagi, poco dopo un mese dall’inizio delle lezioni, risalirono ai livelli di Aprile, impaurendo famiglie e studenti. Avevamo sottovalutato quel subdolo virus!

Il secondo lockdown arrivò a metà Novembre, quando le terapie intensive si riempirono di nuovo. Questa seconda ondata fu meno violenta della prima, ma le forze politiche e noi cittadini, capimmo che avevamo bisogno più che mai di un vaccino, il quale arrivò solo dopo molto tempo. Con l’arrivo di questo farmaco, pur se lentamente, la popolazione iniziò a respirare davvero un’aria diversa, non si trattava più di speranza ma di certezza. I risultati furono visibili solo cinque mesi dopo le prime vaccinazioni, quando non vennero più superati i cinquanta contagi al giorno. 

Oggi, diciannove Dicembre del 2073, sono qui, seduto alla mia scrivania, che sto scrivendo queste mie brevi memorie perché vorrei tanto che i miei figli e i miei nipoti avessero un ricordo ben preciso di quello che io vissi quando ebbi circa diciassette anni. Fu una battaglia lunga, dolorosa. Molti infermieri e medici morirono, moltissime persone che avevano preso il virus morirono; io, inizialmente, sottovalutai quanto stava accadendo, infatti ricordo che quando la mia prof d’Italiano, nel periodo iniziale della pandemia, mi chiese di fare un tema su quello che pensavo della situazione che si stava delineando, scrissi che era solo una situazione esagerata, causata dall’allarmismo che le persone stavano creando. 

Esagerai io, invece. Ma lo capii solo dopo qualche settimana dalla chiusura delle scuole, a Febbraio. 

Sono passati davvero tanti anni, ma penso che vivere un cambiamento storico in prima persona sia in qualche modo “speciale”, ti permette di vivere sulla tua pelle quello che altre persone si limiteranno a leggere e a studiare. Quello che voglio lasciare come messaggio importante a te, che stai leggendo queste mie parole, è quello della speranza, perché nessuna battaglia, pur se difficile, è impossibile da affrontare. E da vincere.

Matteo Saba, IV A LES

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